Probabilmente avrai sentito parlare di loudness, di LUFS, di RMS, di peak level…se sei confuso su questi termini e sulla loro importanza in fase di mastering questo post ti può essere di aiuto.

Spero di chiarirti le idee e di aiutarti a ottenere un master competitivo e piacevole da ascoltare sulle più popolari piattaforme di streaming!

Di cosa parliamo quando parliamo di LUFS e loudness

Una volta eravamo abituati a sentir parlare di peak level e RMS level: una misurazione della ampiezza di un brano a un istante x per il peak, una media della ampiezza nel caso dell’RMS.

LUFS (Loudness Units Full Scale, unità di Loudness riferiti alla scala dello 0dB digitale) è una unità di misura di introduzione più recente, nata in ambito broadcast per stabilire delle linee guida, o dei veri e propri limiti, relative al volume di contenuti cinematografici, televisivi e pubblicitari.

A parità di pressione sonora, l’orecchio umano percepisce come più forti le frequenze della voce umana rispetto alle altre frequenze; i LUFS misurano la media del volume pesata proprio su questa percezione.

Se hai qualche annetto, ricorderai che le pubblicità che interrompevano le trasmissioni televisive erano spesso a volume (effettivo) molto più alto rispetto al contenuto della trasmissione stessa.

Gli standard di loudness per programmi e film servono, fondamentalmente, per evitare le lamentele degli spettatori dovute alle variazioni improvvise di volume, e per garantire una esperienza di ascolto più coerente.

La loudness nello streaming audio

In tempi ancora più recenti, le piattaforme di streaming musicale hanno cominciato ad adottare la misurazione della loudness (o sistemi simili) per garantire una coerenza di volume percepito tra i vari brani.

Cosa succedeva prima dello streaming

I tecnici che masterizzavano per vinile o CD facevano vari tipi di calcoli.

Nel caso del vinile, un mastering engineer doveva creare un livello ottimale che riproducesse fedelmente il master originale senza creare dei solchi problematici sul disco; questi avrebbero causato problemi in riproduzione.

Per quanto riguarda i CD, non c’era nessun problema di riproduzione in vista. Questo ha spinto artisti (e tecnici colpevolmente complici) a spingere il volume di masterizzazione sempre più in su, dal momento che l’orecchio umano percepisce un suono forte come più bello, più eccitante rispetto a uno meno forte.

Questa fu l’origine della cosiddetta loudness war, che negli anni 2000 ha portato alla creazione di dischi ipercompressi e pompatissimi che suonavano fortissimo rispetto alla concorrenza per sfruttare proprio quel meccanismo dell’orecchio umano.

Per ottenere questi master supergonfi si deve agire con compressori, clipper, limiter, saturazione e tutti quei mezzi che riducono il range dinamico (la differenza tra le parti soft e quelle loud di un brano) alzando il volume medio della traccia. Molti remaster di classici degli anni ’70 hanno subito lo stesso trattamento.

Cosa è cambiato con lo streaming

L’ascolto sulle piattaforme quali Youtube, Spotify o Apple Music ha evidenziato lo sbilanciamento dei volumi figlio della loudness war.

Passare da un disco a un altro spesso significava incorrere in un forte rischio di annientamento delle orecchie per il volume; questo problema era ancora più evidente nel caso di playlist con brani presi da dischi differenti.

Il controllo della loudness permette alle piattaforme di garantire una uniformità di ascolto, portando il volume delle tracce a un livello controllato.

Cosa succede alle nostre tracce online?

I brani che superano la soglia concessa dalle piattaforme vengono rilavorati e non suonano come i master che escono dalle nostre DAW.

Tutte le piattaforme abbassano il volume delle tracce troppo alte, a volte riducendone ulteriormente il range dinamico, a volte agendo semplicemente sul volume.

Spotify e Apple Music permettono di disabilitare il controllo della loudness dalle impostazioni avanzate, e ascoltare così il suono originale.

Youtube non offre nessun controllo di questo tipo; è però possibile vedere l’eventuale riduzione applicata cliccando col tasto destro sul video e selezionando “Statistiche per nerd” (XD), alla voce “Volume / Normalized”.

Quando inviamo i nostri master superpompati a queste piattaforme potremmo avere spiacevoli sorprese: un brano con un range dinamico molto basso suona molto “piccolo” a volume ridotto.

Il livello massimo di loudness consentito si aggira tra i -14 e -16 LUFS, ma né il modo esatto con cui la loudness è calcolata né cosa succede al superamento di questa soglia è univoco tra le varie piattaforme.

Come mi devo comportare quando masterizzo i miei brani?

Non pensare che il controllo della loudness sulle piattaforme di streaming sia una punizione.

Un master troppo forte suona piccolo quando gli levi il volume, ma è anche vero che un master con più range dinamico ha più respiro e impatto, e a parità di volume suona meglio di quello ipercompresso.

Prova a usare un loudness meter nella tua DAW come ultimo elemento sul master o sullo stereo output; Logic ne ha uno stock, ma per esempio puoi usare Youlean Loudness Meter, che è pure gratuito e ha molte funzioni in più rispetto a quello di Logic.

Facendo così capirai subito se stai spremendo troppo la dinamica del tuo brano solo per qualche dB in più, che tanto le piattaforme di streaming ti leveranno…

Se masterizzi per vinile o CD il discorso è differente; tuttavia resta il fatto che un master più dinamico è più bello, se alzi il volume per ascoltarlo. Ma nessuno lo fa, pare che tutti lascino il volume fisso e poi si lamentino delle differenze.

Se vuoi avere una idea di cosa succederà al tuo brano sulle varie piattaforme, usa Loudness Penalty, un servizio gratuito che ascolta la tua traccia e ti fa sentire come suonerà sulle piattaforme di streaming.

Ti lascio con un bel video di REAPERIANI che tratta la questione della loudness e alcune tecniche che puoi applicare per ottenere il meglio dal tuo brano. Fammi sapere come va la tua ricerca del suono perfetto 🙂