Tabula rasa.
Niente, apri la tua sessione e non sai che fare.
Allora aggeggi, apri un plugin, ne apri un altro, e prima che tu possa dire supercalifragilistichespiralidoso hai aperto settemila plugin su una traccia che continua a non piacerti.
È una situazione che conosco bene. Aiutiamoci a uscirne!
Il problema di chi mixa
Faccio mix da qualche anno. Lavoro più o meno sempre nello stesso modo, importando le tracce sempre nello stesso ordine, utilizzando sempre gli stessi strumenti di mix tranne quando provo qualcosa di nuovo.
Ma c’è una trappola nella quale continuo a cadere (e sono sicuro che ci cada anche tu spesso, lettore): ascolto le singole tracce per troppo tempo.
Già, un piccolo problema che deriva proprio dalla natura di quello che sto facendo, ossia mixare tracce differenti per trasformarle in una canzone.
Cosa mi manca? Mi manca, a volte, una visione di insieme.
Mi manca il tempo passato ad ascoltare un veloce demo della traccia.
Mi manca farmi ispirare dalla canzone prima, durante e dopo il mix.
Se perdo troppo tempo a lavorare una singola traccia (e, orrore!, magari in solo tutto il tempo), non ho più nelle orecchie la melodia, il testo, quello strumento strano, quella singola cosa che rende quella canzone quello che è.
Mi sono accorto con terrore che da quando mixo non riesco quasi più a godermi le canzoni altrui per quello che sono, e le sviscero nel mio cervello per capire come sono fatte tecnicamente, magari ne apprezzo un delay ma non ne ascolto il contenuto.
Ti faccio un esempio:
In questo pezzo dei Blue Öyster Cult la chitarra ritmica che tiene gli accordi durante la strofa ha un delay; quando ero giovane pensavo che Buck Dharma facesse due plettrate, ma ne fa solo una, lasciando al delay il compito di ripetere l’accordo.
Ebbene, da quando ho notato che quel delay si interrompe alla fine di ogni battuta, lasciando la chitarra asciutta, l’orecchio mi cade sempre su quel dettaglio.
La cosa terribile è che il mio cervello lo cerca e ascolta solo quello, dicendo “Ah fantastico, senti che tocco di classe”.
Un altro esempio? Eccoti un classico dei Venom.
Anche in questo caso, da quando ho notato la quantità folle di delay sulla voce faccio caso solo a quella…
Non dipende dalla tua canzone
Che cosa succede dunque nella mia testa quando mixo e quando sento un brano?
Succede, molto semplicemente, che non ascolto il brano.
Non è la mia canzone il problema: piuttosto il problema è che la canzone non la ascolto.
Questa è una difficoltà che molti mixing engineer si trovano ad affrontare. Quando perdiamo la concentrazione su ciò che rende la canzone speciale per focalizzarci sul suono del rullante finiremo forse ad avere un bel rullante ma non necessariamente una bella canzone.
Quella secchezza, quella assenza di ispirazione che proviamo davanti a una nuova sessione non dipende (forse) dalla canzone. Dipende dal fatto che pensiamo a come devono suonare le sue parti, invece che a come deve suonare la canzone.
Il rapporto emotivo che è prerogativa dell’ascoltatore, occasionale o meno, ci viene negato quando ci incastriamo sulle minuzie dei nostri mix.
Come uscire dal tunnel delle modifiche alle tracce
La cosa più difficile da fare quando mixiamo è tornare a essere ascoltatori, dei brani sui quali lavoriamo e di quelli altrui.
Non c’è ispirazione se non siamo ispirati da qualcosa.
Non è nemmeno detto che ciò che ci ispira sia una canzone: potrebbe essere un film, una foto, una passeggiata.
Se ci sentiamo creativamente aridi finiremo senza dubbio a perdere più tempo del necessario sulle singole tracce. Potremmo sicuramente portare a termine il mix, facendone però un lavoro esclusivamente tecnico, privo dell’aspetto creativo, ma difficilmente saremmo in grado di tirarne fuori qualcosa ci soddisfi.
Ma se vogliamo anche che il mix ci piaccia, è meglio lavorare tenendo a mente che ciò che conta è la canzone, non il rullante. Gli ascoltatori forse nemmeno fanno caso a elementi che noi riteniamo di distrazione o sballati: magari addirittura gli piacciono. Quello a cui prestano attenzione è l’impatto emotivo del brano.
Quindi, prima di impelagarci in modifiche su modifiche, catene di plugin che si estendono per chilometri e non portano da nessuna parte, facciamo un passo indietro.
Leviamo il solo a quella traccia.
Facciamo soltanto un po’ di livelli di volume e panning e ascoltiamo il brano. Se questo non basta, ascoltiamo un brano differente, sul quale non abbiamo lavorato.
Quando dico ascoltiamo, intendo proprio con le orecchie pure del fan di musica che si nasconde ancora dentro di noi. Lasciamo perdere i riverberi usati, per un attimo almeno: ci torniamo dopo, quando vogliamo lavorare sui dettagli. Se tutto questo non basta, facciamo qualcosa di diverso.
Una canzone non è fatta di (soli) dettagli, perché è qualcosa in più dell’insieme delle sue tracce, o della quantizzazione delle sue note.
Una canzone è un veicolo per fissare la melodia dell’universo attraverso l’individualità di chi la suona, per far vibrare alle stesse frequenze l’animo di chi la ascolta.
Lo so che è una chiosa un po’ cheesy, ma so anche che se facciamo musica è perché ci emoziona, quale che sia la forma di questa emozione.